La fusione tra la scrittura e l’arte visiva: Adriano Spatola & la poesia visiva

Gina Mangravite, Franklin & Marshall College

“Per Adriano Spatola la poesia e il ruolo del poeta costituivano l’asse intorno a cui ruotava tutto il suo mondo, percettivo ed espressivo” (Maurizio Spatola). Poeta italiano del Novecento, Adriano Spatola faceva parte del Gruppo 63. Il Gruppo 63 proponeva un modo “di ‘entrare nelle strutture della cultura italiana’ per ‘metterle in mano di gente disposta a portare fino a fondo un movimento intimamente legato all’Europa, per trasformare la cultura italiana da una cultura limitata in una cultura vasta e articolata’” (Lorenzini 13). Il Gruppo 63 rappresentava “l’emergenza del nuovo” e un cambiamento nel modo in cui la cultura vive. “Quello che allora si è cercato di fare è stato di ‘rendere l’Italia […] un paese dove la cultura sia praticata nella ricchezza, nella varietà, nella complessità, per fare, insomma, anche dell’Italia, un paese culturalmente avvertito’” (13). Il Gruppo 63 era parte della neo-avanguardia.

In uno scritto del 1963 pubblicato su « Rinascita »Umberto Eco notava che « le reali o pretese neo-avanguardie costituiscono solo l’aspetto più vistoso, non di rado superfluo, di una situazione culturale in cui viene messa in crisi non solo la nozione tradizionale di arte, ma la possibilità stessa dell’arte.  (Rpt in Novecento 744)

È difficile definire con precisione la neo-avanguardia perché era composta di scrittori molto diversi. Come membro del Gruppo 63, Adriano Spatola faceva parte del movimento della neo-avanguardia, però la classificazione di Spatola come poeta della neo-avanguardia è problematica, come Peter Carravetta spiega durante un’intervista con Spatola: “Secondo me, […] tra la neo-avanguardia e la tradizione c’era spazio per qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso. In altre parole, la tua poesia potrebbe benissimo essere questa terza alternativa, questo ‘tra le due’; ma questo non ha niente a fare col fatto che abbiamo la testimonianza della tua presenza in prima linea coi Novissimi e col Gruppo ‘63” (Carravetta 6). Spatola risponde a Carravetta che lui era giovane quando faceva parte di questi gruppi, in altre parole che la sua poesia non può essere classificata secondo il tipo dei Novissimi. Sebbene Spatola sostenga questo, lui potrebbe ancora essere classificato come neo-avanguardista. Il “tra le due” sottolinea solo il problema del sistema di classificazione classico, quello stretto, perché a volte uno scrittore non può essere classificato come parte di una posizione esplicita. Spatola sfugge a classificazioni chiare e allora è situato tra neo-avanguardia e tradizione, e questo può essere visto soprattutto nel confronto tra la sua poesia lineare e quella visiva. L’idea del “tra le due” èmolto interessante perché la neo-avanguardia era una rottura dalla tradizione letteraria. Questo paradosso si può interpretare in diversi modi. In primo luogo, per Spatola essere tra le due categorie vuol dire che secondo lui la scrittura tradizionale ha una propria funzione, ma ci sono alcune cose che devono cambiare. Oppure si può sostenere che Spatola avesse un’opinione molto ambigua e non potesse scegliere tra una parte o l’altra e che avesse usato tecniche che si mettono in tensione dentro le sue opere. Infine, forse Spatola ha cambiato idea durante la sua carriera. In realtà non è un problema che Spatola sia al tempo stesso tradizionale e neo-avanguardista. Però diventa un problema quando lo studio della letteratura è organizzato in queste rigide categorie. È un po’ simile alla questione del canone letterario tradizionale e il canone più moderno che sta crescendo. Quando creiamo categorie letterarie, dobbiamo ricordare che un testo è complicato e i confini fra categorie devono essere flessibili.

Il legame tra la parola e l’immagine è la base fondamentale del linguaggio. Secondo Ferdinand de Saussure, la lingua è l’unità tra il significante (la parola) e il significato (il “suono-immagine” dentro il subconscio 1). Adriano Spatola con la sua poesia visiva fa emergere quest’unità dal subconscio e la rende più concreta. “Il legame tra l’elemento grafico e l’elemento semantico è quasi ovvio per [Spatola]. Un testo visuale è solo la condensazione di uno degli aspetti di una più vasta realtà linguistica … Il maggiore obbiettivo è una precisione formale, cioè gestaltica” (Carravetta 5). Spatola sostiene che nella poesia visiva “ci deve ben essere qualcosa in quell’indicare là di cui stavamo parlando, voglio dire, ci vedo una certa innocenza nell’atto, nel gesto” e questo gesto esiste per “far emergere, indicando qualcosa” che viene da dentro il subconscio (Carravetta 4). Quest’atto della gestualità succede insieme con l’esperienza visuale (4). Spatola nella sua poesia visiva mostra il legame tra parola e concetto attraverso l’atto del gesto, insieme con l’esperienza visuale e, come risultato, crea un rapporto tra parola e immagine, cioè l’opera stessa.  

Spatola può rendere la formazione della lingua un’esperienza che succede fuori dalla coscienza, grazie del modo in cui lui pensa al ruolo dell’inconscio nella scrittura. In un’intervista con Peter Carravetta,  dice:

L’inconscio non mi interessa affatto. L’inconscio c’è, molto bene, ma c’è anche l’essere, e mi interessa soprattutto l’essere, come fenomeno o come traccia linguistica … Ogni parola del dizionario contiene dei residui oggettivi e soggettivi, e alcuni di essi sono inconsci. Per me il dizionario non è una banca dati ma un organismo vivente, con i suoi traumi e tutto il resto. Ma ciò che è di massima importanza è il recupero cosciente del materiale necessario. (Carravetta 7-8)

Secondo Spatola l’inconscio c’entra sempre con la scrittura, ma non è l’unico modo in cui il linguaggio funziona.  “In altre parole, [spiega Carravetta], vedere come la parola riesca a catturare al meglio o a indicare l’esperienza dell’oggetto e del soggetto… sia non solo accettabile, ma necessaria” e Spatola sostiene l’autorità dell’autore a scegliere con cura le parole della scrittura e creare un rapporto tra le parole e l’oggetto.  Per esempio, nella sua poesia lineare, se una parola è troppo comune la cancella dalla poesia (Carravetta 13).

La poesia visiva di Adriano Spatola funziona come critica degli scrittori, ma costituisce anche una riflessione sul modo il lettore affronta il testo; entrambi questi aspetti sono visibili nell’attenzione riservata alle basi materiali della lingua (Barilli 24). Nella postfazione alla versione inglese del suo saggio, “On ZEROGLYPHICS” Barilli scrive, “Spatola considers it an essential exercise to correct the ‘candour’ and false pretences which one could have in doing linear […] poetry” e il modo in cui Spatola lavora verso questo cambiamento è fisicamente tagliare le parole a frammenti (Barilli 24). Un esempio di un pretesto di questo tipo è l’uso dell’idea nietzschiana dell’eterno ritorno, che secondo Spatola funziona benissimo, ma solo se la tecnica è usata nel modo giusto.  “Molte poesie sono dedicate a cose che ricorrono, in maniera sonnolenta e ironica, deliberatamente allusiva” e secondo Spatola quei corsi e ricorsi sono “la maledizione della poesia” (Carravetta 9). E` “una tentazione culturale negativa dalla quale è quasi impossibile sfuggire,” ma secondo Spatola si potrebbe usare corso e ricorso se la scrittura fosse al livello di parodia (Carravetta 8). Un altro esempio di un pretesto è l’uso dell’io grammaticale. Spatola parla “dell’eliminazione consapevole di un io soggettivo, decisamente anti-lirico”  e la sua ragione per questo è che uno scrittore ha bisogno di “offrire tutti  i livelli possibili di interpretazione” (Carravetta 11).

Un altro aspetto importante delle parole tagliate è la materia delle parole che il poeta sceglie. Di solito Spatola usa pezzi di giornali o riviste, e questo contribuisce alla sua posizione critica nei confronti della scrittura. Queste materie sono opere della cultura di massa. Allora, in un modo, quando Spatola taglia le parole dai giornali o dalle riviste, abbatte e critica la cultura di massa. Da questa critica della cultura di massa nasce la sua critica dei lettori e il modo in cui la  gente comune legge.

Per esprimere la critica di Spatola verso il metodo di leggere del lettore, Barilli chiede, “When do we start to realize that the compulsion to read has become irreparably useless and ridiculous?” (24). Con la poesia visiva e la rottura del linguaggio, Spatola prova a migliorare l’esperienza di lettura attraverso un rapporto o forse un segno, cioè il “literal-literary order” (24).  In una poesia visiva,

the light of the literal should keep on descending (…) at the same time the road back up to the surface must be kept open, so that from the literal one may even discover the literate, with its figures of speech and its multiple meanings (…) at the end of which a literal-literary order may appear. But it must know itself as being suspended above an abyss of disorder, of whirling MATERIC chaos. (24)

Gli Zeroglifici sono buoni esempi visivi del “literal-literary order” (Figura 1). A prima occhiata, un’opera degli Zeroglifici sembra confusa, uno spazio disordinato che non è leggibile né veramente arte che è bello guardare. Questo senso dell’illeggibilità è inerente al titolo delle opere; non ci sono “glifici” – i simboli che si possono ricordare e leggere facilmente, quasi automaticamente. Però lo scopo della poesia visiva, almeno per Spatola, è che il lettore può guardare all’opera e da quest’oggetto concreto, visivo dedurre qualche significato di parole, “il letterario.”  Non è un atto compulsivo, banale, perché ci sono molti livelli d’interpretazione e ogni lettore può leggere il testo in un modo diverso (Carravetta 11). C’è una ricreazione dell’analitico nel modo in cui si deve leggere e con le poesie visive di Spatola, il lettore non ha la scelta di leggere in un modo compulsivo, deve leggere in questo modo analitico che secondo Spatola è il metodo giusto di leggere.

Spatola vuole cambiare il modo in cui la gente pensa al linguaggio, sia dalla parte del lettore, sia dalla parte dello scrittore, ma c’è un problema nell’idea di rendere questo cambiamento possibile attraverso la poesia visiva: È la poesia visiva veramente un’opera di scrittura? Si può leggerla oppure si deve guardarla come un’opera d’arte, come un quadro, cioè visuale? Queste domande su come definire la poesia e l’arte sono difficili ma Barilli offre una soluzione nella sua analisi di Zeroglifici. Egli scrive che l’arte non [è] una serie di isole incomunicanti, ma uno spettro dai passaggi continui e sfumati […] e che la poesia visiva esiste su “questa strada [che] uscir fuori […] dai confini della letterarietà […] per invadere i campi delle arti visive” e la sua interpretazione è ripetuta nelle parole di Spatola stesso, “La mia opinione è che tutto è possibile in poesia” (Barilli26, Carravetta 20). Nel suo saggio, “La poesia tecnologica e la poesia visiva” Spatola spiega:

In particolare è il linguaggio della pubblicità a dover essere preso a modello […] soprattutto per mezzo di un effetto di straniamento che faccia scaturire significati nuovi e diversi da quelli del contesto d’origine. Le necessità imposte da questa prospettiva comprendono il ricorso a tecniche di visualizzazione del materiale verbale: le parole vengono montate su pannelli arricchiti anche da inserti di varia provenienza (giornali ecc.), nonché dai materiali più vari. È una fusione di poesia tradizionalmente intesa e di arte visiva (grafica soprattutto) che prende il nome appunto di “poesia visiva”.

Spatola definisce la poesia visiva come la fusione tra la parola e l’immagine, in altre parole non è solo poesia o arte, ma entrambe. 

L’opinione sulla poesia visiva di Spatola e Barilli non è condivisa da tutti. “Sanguineti sostiene che il solo poeta visivo italiano sia Corrado Covoni”; ciò  è secondo Spatola “un’affermazione che oggi ha qualcosa di museale, è un’opinione talmente ridicola che non ha nemmeno bisogno di essere confutata. Curi sostiene genericamente che la poesia visiva è di destra, reazionaria o qualcosa del genere” a cui la reazione di Spatola è, “Questo è chiaramente un atteggiamento istituzionale nei confronti di poeti non-verbali che spesso usano altri tipi di espressione linguistica” (Carravetta 20). Sebbene i pensieri di Sanguineti e Curi siano espressi da Spatola e quindi appaiano in una luce negativa, è ancora possibile capire che sia per Sanguineti sia per Curi, la poesia visiva non è poesia, mentre a loro interessa la poesia lineare.

Spatola ha un’opinione sulla poesia visiva, definendola sia come poesia sia come arte visiva, che lui sostiene e difende, ma rimane aperta la domanda su come categorizzare la poesia visiva, perché se non si può leggerla, non sembra nemmeno che si possa analizzarla esattamente nello stesso modo in cui si analizza un quadro.

 (1) Ferdinando de Saussure sviluppa quest’idea in Course in General Linguistics.

Works Cited: 

Barilli, Renato. “On Zeroglyphics.” Invisible City. 23-25. Los Angeles: marzo 1979. Print.

---. “A proposito di <<Zeroglifico>>.” Il Verri. 2: settembre 1976. Print.

Carravetta, Peter. “A colloqui con Adriano Spatola.” Invisibile City. 23-25. Los Angeles: marzo 1979. Print.

de Saussure, Ferdinand. Course in General Linguistics in The Norton Anthology of Theory & Criticsm. 2nd Ed. 845-866. Print.

Grana, Gianni. Novecento. Le avanguardie letterarie. Vol 3. Milano: Marzorati, 1986. Print.

Lorenzini, Niva. Il Gruppo 63 quarant’anni dopo. Vol 1. Web.  <<books.google.it>>

Spatola, Adriano. “La poesia tecnologica e la poesia visiva.” Web.  <<parados.it>>

Spatola, Maurizio. “Etica, rigore, anarchismes nella poetica di Adriano Spatola.” Web. <<testualecritica.it>>

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