L’immigrazione siciliana a Monterey in California e il suo retaggio

Alexandria Aliotti, University of California, Los Angeles

I would like to thank my mentor on this project, Dr. Elissa Tognozzi at the UCLA Italian Department.

Come tanti altri immigrati, i siciliani hanno lasciato la loro terra per cercare una vita migliore e liberarsi delle brutte condizioni economiche e politiche della Sicilia. L’emigrazione dai paesi sulla costa ovest della Sicilia verso gli Stati Uniti è molto interessante, specialmente per come questi gruppi si sono assimilati, portando con sé la loro conoscenza della pesca e le loro feste tradizionali. A Monterey, in California, ancora oggi si vede il retaggio degli immigranti siciliani che sono arrivati tra gli ultimi anni del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo. Nonostante i motivi per cui queste persone si sono trasferite dalla loro terra, i siciliani, specificamente quelli dell’Isola delle Femmine, San Vito Lo Capo e Marettimo, sono stati molto influenti nel gran successo sulla pesca locale ed anche nei conservifici di pesce nella prima metà del Novecento, e sono stati particolarmente attivi nel fondare la storica “Cannery Row.”  Oltre alle tante difficoltà di assimilazione in un nuovo paese, i siciliani hanno portato con sé le tradizioni, la cultura e la loro lingua unica. Sebbene i primi immigranti siano arrivati a Monterey più di cento anni fa, le tradizioni, i valori, e soprattutto, il dialetto siciliano sono ancora presenti a Monterey oggi, grazie alle generazioni che hanno mantenuto il contatto con la Sicilia e anche grazie ai siciliani che ancora continuano ad immigrare a Monterey.

L’inizio dell’emigrazione dalla Sicilia all’estero

La prima grande emigrazione dalla Sicilia è cominciata intorno al 1870 ed è continuata negli anni seguenti. L’emigrazione riflette importanti eventi nella storia d’Italia, come le guerre e le lotte politiche. Secondo Francesco Renda, c’è stato un grande aumento dell’emigrazione siciliana all’estero intorno al 1896. Questo cambiamento può essere attribuito alle difficili condizioni portate dopo l’unificazione d’Italia nel 1861, in cui le regioni meridionali esistevano in povertà, fame e repressione. Come dice Bruno Migliorni, “L’emigrazione [è stata] specialmente numerosa negli anni di maggiori difficoltà economiche, è talvolta temporanea…[e] talvolta stabile (e porta alla formazione di «piccole Italie») specialmente negli Stati Uniti, in Argentina, in Brasile)” (Migliorini, 282).

Inoltre, la Sicilia è stata sempre considerata, ed è ancora considerata, una tra le regioni d’Italia più povere e rurali, rispetto alle regioni settentrionali, ma l’unificazione del paese ha portato ancora più problemi al Sud. Francesco Renda sottolinea che “i primi anni di vita unitaria per la Sicilia furono anni difficili e dolorosi” (Renda, 40). Dunque, i siciliani sono emigrati verso vari luoghi come l’Argentina, gli Stati Uniti, l’Africa e altri paesi per poter trovare una vita migliore; questo flusso d’emigrazione siciliana è stato piuttosto costante fino al 1915, quando è cominciata la prima guerra mondiale. Di conseguenza, l’emigrazione all’estero si è ridotta durante gli anni della prima guerra mondiale, ma il numero di emigranti siciliani è immediatamente aumentato nel 1920, alla fine della prima guerra mondiale.

I primi siciliani emigrati a Monterey, California

I siciliani emigrati a Monterey, a cominciare dal 1900 circa, sono stati un gruppo molto interessante per il loro adattamento nel nuovo paese, principalmente perché venivano da una lunga tradizione di pescatori. Uno dei primi siciliani arrivati a Monterey, Pietro Ferrante, ha trasformato l’economia di Monterey introducendo la lampara, una barca nativa della Sicilia (Thomas, 33). Siccome i pescatori siciliani erano esperti della pesca di sardine, perché le sardine erano anche uno dei più abbondanti pesci in Sicilia, Ferrante, portando la sua barca e coinvolgendo altri siciliani con simili esperienze lavorative, ha totalmente cambiato la pesca nelle acque di Monterey. Frank E. Booth, un famoso industriale, originalmente inscatolava solo 300 barattoli di sardine nel 1900, ma con l’aiuto di Ferrante, la pesca di sardine è diventata la più grande industria ittica negli Stati Uniti (Larimer; Thomas 37). In effetti, il grande successo del Signor Ferrante ha stimolato l’immigrazione di 3000 o 4000 mila siciliani a Monterey nei primi anni del 1900 per l’opportunità di pescare le sardine, ma anche per le altre specie di pesce come il salmone e i calamari (McKibben 15). Dunque, entro 1940, un terzo della popolazione di Monterey consisteva di siciliani, che hanno avuto la possibilità di usare il lavoro che già conoscevano nella loro terra (McKibben, 18).

Grazie agli immigranti, sia siciliani che giapponesi, russi, cinesi e portoghesi, il mare e la città di Monterey sono diventati noti in tutto il mondo, specialmente la storica Cannery Row. Oltre al pontile caratterizzato da tantissime barche di pesca, Cannery Row, prima chiamata Ocean View Avenue, è diventata famosissima per i tanti conservifici di pesce che operavano fino agli anni ’50. Il famoso scrittore John Steinbeck è stato il primo a dare a questa strada il suo nome di Cannery Row, e nella sua novella intitolata “Cannery Row,” Steinbeck dice "Cannery Row in Monterey in California is a poem, a stink, a grating noise, a quality of light, a tone, a habit, a nostalgia, a dream" (Steinbeck, 1). La descrizione di Steinbeck riassume la grande possibilità che la pesca di Monterey rappresentava, nonostante le faticose e cattive condizioni del lavoro. Inoltre, il successo delle sardine a Monterey viene sottolineato da Steinbeck quando dice “It wasn’t only that the fish ran in silvery billions and money ran almost as freely” (Steinbeck 100).

Oltre al loro influsso sull’economia e sulla pesca di Monterey, questi immigrati hanno creato un’esclusiva comunità, che era necessaria per la loro permanenza a Monterey. Anche se c’era stata un po’ di tensione in Sicilia riguardo alle loro città natali, i siciliani da diverse città appena arrivati a Monterey si sono uniti come un gruppo compatto. Questa unificazione non è sola caratteristica dei siciliani a Monterey, ma per tanti siciliani che sono emigrati. Il film “Nuovo Mondo,” diretto da Emanuele Crialese, illustra lo stesso fenomeno d’immigrazione: il protagonista siciliano, Salvatore, è in viaggio sulla nave in direzione per l’America con altri siciliani, e si trova in uno stanzone con tantissimi letti a castello a stretto contatto gli uni con gli altri. Salvatore dice in dialetto “chi ha dormito con tutti questi stranieri?”, ma un altro siciliano risponde “ma tutti questi stranieri dove sono? Noi siamo tutti italiani.” Questa frase evidenzia lo stretto vincolo formatosi tra queste persone, necessario per il loro successo nel nuovo mondo.

Nel cercare il sogno americano che prometteva una vita migliore, era spesso tipico che l’uomo partisse da solo e lasciasse la famiglia in Sicilia. Dopo essersi stabilito nel nuovo mondo e dopo aver trovato lavoro e casa, l’uomo di solito chiamava la sua famiglia per raggiungerlo. Inoltre, c’erano degli uomini che sono tornati in Sicilia permanentemente per riunirsi alla famiglia dopo aver guadagnato dei soldi. Nello stesso tempo, ci sono stati alcuni uomini che hanno abbandonato la loro famiglia in Sicilia per trasferirsi in America, dove hanno creato una seconda famiglia. Giuseppa Rinaudo si ricorda che quando aveva cinque anni suo padre è partito per Milwaukee, Wisconsin da solo, perché sua madre aveva rifiutato d’emigrare e lasciare sua madre anziana in Sicilia. Giuseppa si ricorda della povertà che ha caratterizzato il suo paese natale, Marettimo, specialmente dopo la seconda guerra mondiale, e si ricorda degli sforzi che sua madre ha dovuto combattere per sostenere la famiglia da sola. Inoltre, il padre di Giuseppa è tornato a Marettimo dopo un paio di anni per chiedere a sua moglie e a sua figlia, Giuseppa, di tornare con lui in America. Come prima, la mamma di Giuseppa gli aveva detto che non avrebbe lasciato sua madre da sola. Di conseguenza, il padre di Giuseppa tornò a Milwaukee dove ha creato una seconda famiglia, mentre ha lasciato sua moglie incinta per la seconda volta in Sicilia. Per queste ragioni, Giuseppa non è stata molto aperta all’idea dell’emigrazione a Monterey quando si è sposata con suo marito, Giovanni. In effetti, suo marito è andato a Monterey per lavorare come pescatore per vari periodi, ma è sempre tornato in Sicilia, dove ultimatamente è andato in pensione con Giuseppa fino alla sua morte. (Rinaudo, 2013)

Tanti siciliani, ed emigranti, hanno avuto simili esperienze con mariti e altri membri della famiglia, ma c’erano siciliani che si sono trasferiti con la famiglia intera, e dunque hanno avuto gran successo nel creare una nuova e più ricca vita di quella che avevano in Sicilia. Già nei primi anni del novecento queste famiglie hanno cominciato ad arrivare a Monterey, ma la scelta del paese non era solamente perché c’era il mare, ma anche perché Monterey e le loro città natali hanno tantissime cose in comune. Tra il clima, la pesca e l’atmosfera del piccolo paese, Monterey ha attirato l’attenzione da questi tanti immigranti, e così ha aiutato i nuovi arrivati ad assimilarsi a Monterey (McKibben). Riferendosi alla Sicilia, Francesco Renda dice che “erano certe peculiarità dell’emigrazione isolana, già da noi rivelate, come quel suo carattere di permanenza…per cui nel volger di pochissimi anni erano partiti dall’isola più di un milione di uomini” (Renda, 60). Con il numero dei paesani che cresceva ogni giorno, il desiderio di rimanere per sempre ha infine prevalso in tante famiglie; in più, i siciliani a Monterey continuavano a mantenere le stesse abitudini che avevano in Sicilia, conservando così le loro radici.

Il ruolo degli uomini e delle donne nell’assimilazione a Monterey

Gli uomini e le donne hanno avuto ruoli distinti nel conservare la loro cultura e l’identità siciliana dopo l’arrivo in America. Grazie alla loro patria comune, questi siciliani, che venivano da tre paesi diversi, potevano stabilire forti legami dovuti a una lunga tradizione di famiglie di pescatori. Il rapporto fra i pescatori assicurava che loro parlassero il siciliano quotidianamente mentre lavoravano sulle barche o rammendavano le reti; dunque, gli uomini hanno assicurato la sopravvivenza della loro lingua. Oltretutto, l’equipaggio delle barche fu quasi sempre composto da membri della stessa famiglia o da uomini che si erano sposati nella famiglia. Le barche solitamente appartenevano a un siciliano e i membri della barca erano cugini, figli, nipoti o generi e quindi, il lavoro sulle barche da pesca era limitato a queste persone.  Joe Sollecito spiega che loro “Stayed within our own group. Only talked in Italian” (McKibben, 73). In questo modo, i siciliani si proteggevano contro altri immigranti, come i giapponesi, i cinesi ed i messicani, che anche abitavano e pescavano a Monterey. Dunque, hanno assicurato il lavoro per le loro famiglie e le loro abitudini native.

È molto interessante che tanti studiosi, come Cesare Lombroso, abbiano pensato che la donna fosse inferiore all’uomo, mentre questo stereotipo viene rovesciato dalle donne siciliane; il loro ruolo nella migrazione a Monterey è stato necessario per il gran successo economico, e anche culturale. Mentre gli uomini erano responsabili per il lavoro al mare, le donne di questi pescatori hanno ottenuto una nuova indipendenza che è stata essenziale nel trasloco della famiglia, ma anche per la comunità creata a Monterey. Come gli uomini, le donne immigrate hanno avuto un ruolo importante nell’economia di Monterey per i loro contributi nei conservifici di pesca. Oltre a guadagnare soldi per poter sostenersi, era la prima volta che queste donne hanno avuto la possibilità di lavorare fuori di casa. Crescendo in famiglie di pescatori, le donne avevano già l’abitudine di essere forti ed autonome a causa della frequente mancanza degli uomini fuori a pescare. Come dice McKibben, queste donne avevano “[a] strong tradition of proactivity and self-sufficiency” (McKibben, 7). Siccome gli uomini della loro vita spesso mancavano da casa per lungo tempo, le donne, oltre a mantenere la casa e i figli, regolavano tutte le decisioni finanziarie e famigliari quando l’uomo non c’era. Anche Gabaccia spiega che alla fine del 1800, le donne siciliane in Sicilia erano responsabili per i soldi della famiglia, e loro decidevano la spesa famigliare quotidiana e anche le spese grandi (Babaccia, 21). Le donne siciliane a Monterey hanno continuato il loro ruolo di gestire le finanze della famiglia e il lavoro casalingo, anche dopo che sono entrate nella forza lavoro americana. Dunque le donne immigrate a Monterey “played a leading role in imagining an identity of Sicilians as ethnic fishers, bringing families together to build a strong community around that identity, and ensuring that the settlement of Monterey was permanent and deeply rooted politcally, economically, socially, and culturally” (McKibben, 2).

Arrivando a Monterey, queste donne straniere sono andate a lavorare nei conservifici di pesca con tanti altri immigranti, dove hanno creato una piccola comunità siciliana, escludendo tutti gli altri che non erano d’origine siciliana o italiana, come hanno fatto i loro mariti, fratelli e figli. Anche se erano “cheap labor” e lavoravano per 33.5 centesimi all’ora, le donne erano fiere d’aver la possibilità di lavorare e contribuire economicamente alla famiglia, nonostante fosse un lavoro duro che le impegnava per lunghe ore, sei giorni alla settimana, e le condizioni fossero cattive, caratterizzate da rumore e zone bagnate (Gabaccia, 5; McKibben). Malgrado la necessità di dover andare a lavorare a qualsiasi ora del giorno o della notte, a seconda dei movimenti del pesce, questo lavoro era considerato come migliore delle condizioni in Sicilia. Le tante donne intervistate da McKibben spiegano non solo la loro stanchezza e lo sfruttamento di questa gente che lavorava nei conservifici, ma anche come tutte le amiche siciliane, in cui c’erano anche membri di famiglie, lavorassero insieme, sempre conversando in siciliano. Le interviste rivelano anche come le donne siciliane si proteggevano nel lavoro; dopo che una siciliana diventava una dirigente in una sezione del conservificio, lei spesso aiutava e nominava altre siciliane quando possibile. Come ha notato una portoghese che ha lavorato nei conservifici con le siciliane, “the italian women really dominated. They were really tight together, always talking in Italian” (McKibben, 38). In questo modo, tutta la gente siciliana è diventata come una grande famiglia, mentre evitavano di socializzare con altra gente.

Nelle loro conversazioni, molte di loro si chiamavano ‘commare,’ allo stesso modo in cui gli uomini siciliani si chiamavano ‘compare’. Anche se oggi è diventato uno stereotipo nei film americani che raffigurano i siciliani, ‘compare’ e ‘commare’ sono le vecchie parole siciliane per indicare migliore amico o amica; McKibben, come altri storici, sottolinea questi termini perché essere ‘compare’ o ‘commare’ con qualcuno non è solo essere il migliore amico, ma è come essere famiglia. È un’amicizia più forte di quella generale, e solitamente si dà questo titolo d’onore e di rispetto quando uno diventa il testimone di nozze o il padrino o la madrina di un figlio. Così l’amicizia avrebbe dovuto durare per tutta la vita perché in Sicilia, “’i compari sono come i parenti,’ anzi ‘meglio dei parenti’” (D'Onofrio, 32-33).Questi termini ancora si sentono, sia in Sicilia, sia a Monterey, per esprimere il rapporto di un’amicizia infrangibile.

Le ‘commari’ non solo lavoravano insieme, ma organizzavano degli incontri tra loro quando i loro mariti andavano via a lavorare per vari periodi; le ‘commari’ si incontravano per fare il lavoro di ricamo, giocare a carte, recitare il rosario e andare in chiesa. Le donne siciliane anche organizzavano eventi tra le famiglie intere, includendo gli uomini, cioè i ‘compari’. Per continuare le attività tradizionali che venivano fatte dai ‘compari’ e delle ‘commari’ in Sicilia, le donne spesso organizzavano delle riunioni come quelle che si facevano nella loro vecchia terra, in cui si parlava esclusivamente il siciliano. Si incontravano per cantare vecchie canzoni o facevano dei pranzi o delle cene insieme, e quindi erano attività dove ci si ricordava la propria storia. Tante volte facevano dei barbecue sulla spiaggia dopo il ritorno del lavoro dei pescatori (Thomas). Inoltre, le feste religiose erano molto apprezzate dai siciliani, come lo sono state in Sicilia; quindi, le feste di matrimoni, battesimo e comunione venivano celebrate tra i siciliani. Questi riti sono continuati per quasi tutto il tempo dell’immigrazione siciliana a Monterey, perché gli immigrati originali hanno presto accettato e incluso i nuovi siciliani arrivati a Monterey nel lavoro e negli affari fuori dal lavoro, allargando così il circolo siciliano.  (McKibben)

Per stabilire le forti radici a Monterey, gli immigranti siciliani hanno investito il loro guadagno nelle proprietà a Monterey. La proprietà a Monterey non era solo un investimento economico, ma è stata anche la chiave per la loro presenza a lungo termine. Come sottolinea McKibben, le donne delle famiglie sono state essenziali nella loro permanenza a Monterey perché investivano i loro soldi, comprando delle case a Monterey, anche senza il permesso dei loro mariti; quindi, le loro azioni anche riflettono come le donne, sia pure conservando le vecchie tradizioni, avessero molta più libertà. Entro il 1951, i siciliani possedevano un terzo delle case a Monterey, che contava 19.000 abitanti (McKibben, 55). Siccome le famiglie di pescatori avevano già conosciuto la pesca delle sardine in Sicilia e sapevano che prima o poi i pesci sarebbero diminuiti, le donne hanno investito nella proprietà per proteggersi in caso qualcosa fosse successo con la pesca. Infatti, negli anni 1950, le sardine sono diminuite a Monterey, così terminando il periodo d’oro. Quelli che avevano investito nella proprietà, avevano la garanzia di non perdere tutto quello avevano ottenuto.

La nuova identità fondata a Monterey e il ruolo della lingua

Dopo che gli americani sono entrati nella seconda guerra mondiale, la società siciliana a Monterey è stata forzata a riconsiderare il loro comportamento e il loro punto di vista, e scegliere tra la terra che gli aveva dato una vita nuova, e la loro terra nativa. Mentre prima si frequentavano fra di loro e non avevano tanta voglia di prendere la cittadinanza americana, in quel momento tutto è cambiato; prima erano fieri d’essere siciliani, ma adesso erano orgogliosi d’essere anche americani. In questo periodo, pochi degli immigranti erano cittadini americani, e quindi, dovevano trasferirsi trenta minuti fuori da Monterey. Ciò nonostante, i siciliani non si lamentavano perché erano grati di abitare in America. Inoltre, tanti di questi pescatori hanno donato le loro barche al governo americano per esprimere il loro orgoglio per l’America. Altri pescatori erano fieri di contribuire allo sforzo bellico perché i pesci inscatolati sono stati una fonte importante di proteina per i soldati in guerra (McKibben).  “Their stories reflected both a sense of pride in themselves as a ethnic fishing community and an equally strong sense of pride in their identity as American citizens” (McKibben, 96).  Quindi, la seconda guerra mondiale è stata il punto di svolta per gli immigrati; è stato il periodo in cui l’atteggiamento di “We are sicilians first,” descritto da Lenore Pelligrino, si è trasformato in un’identità caratterizzata da elementi siciliani e anche americani (McKibben). Questo evento storico ha spiantato la strada per i successivi immigranti; per esempio, Giovanna Mineo esprime il suo doppio e pari amore per Marettimo e Monterey nel testo di McKibben, e spiega come tutte e due sono casa per lei.

Dopo la seconda guerra mondiale, c’è stata la diminuzione della pesca a Monterey; dunque, molti pescatori hanno dovuto cambiare professione per sostenersi, anche se si identificavano ancora come pescatori. Infatti, ancora oggi, si considerano soprattutto pescatori. Il loro cambiamento da una bassa classe sociale alla classe media non ha neanche cambiato il loro modo di pensare; erano fieri d’essere pescatori, anche quando non praticavano più la loro arte. Per quelle famiglie che sono rimaste nel campo della pesca, è interessante notare come tanti figli di pescatori abbiano sviluppato un amore per la pesca come i loro padri e i loro nonni. Infatti, alcuni figli d’immigranti hanno seguito le orme dei loro parenti stretti. Benedict “Benny” Ferrante, il figlio di una famiglia di pescatori dall’Isola delle Femmine, è diventato un bravissimo pescatore nelle acque di Monterey e anche quelle dell’Alaska, dove vanno tanti siciliani pescatori per la pesca estiva del salmone. Ferrante ha spiegato che ha imparato tutto del suo mestiere da suo padre, Vito Ferrante. Oltre ad imparare della pesca e della navigazione, Ferrante ha imparato il dialetto siciliano a bordo di varie barche con suo padre ed altri membri dell’equipaggio siciliano. Anche se parlava il dialetto a casa, Ferrante spiega che essere esposto alla lingua ogni giorno ha arricchito il suo apprendimento, in un modo che è divento parte alla sua identità. Nicolas Timiras sottolinea il lungo contributo dell’uso dilettatale sulle barche, specificamente perché ha preservato la nativa terminologia della pesca che viene ancora usata oggi (Taylor, 4). Dunque, Ferrante ha espresso che sente un forte collegamento con la cultura dei suoi genitori.  (Ferrante, 2013)

“Their rich dialogue not only bound them together, it allowed for a free flow of ideas that led to all sorts of innovations that served both to increase their attachment to Monterey and to deepen their cultural roots” (McKibben, 101). La citazione di McKibben sottolinea l’effetto della lingua che avevano in comune, e anche suggerisce come la loro relazione abbia stimolato la replicazione dei riti della loro terra in America, particolarmente le feste religiose dei santi patroni dei paesi siciliani. Oltre alle feste religiose come la Pasqua e il Natale, le feste siciliane delle sante portavano tutta la comunità siciliana insieme per festeggiare; le feste ricreate a Monterey sono “patterned after the respective old world customs and usages” specificamente il ruolo della religione e il cibo (Speroni, 79). Le due più notevoli feste replicate dagli immigranti siciliani a Monterey sono la festa di Santa Rosalia, la santa patrona palermitana della pesca, e la festa di San Giuseppe, il santo patrono di Marettimo.

La conservazione della cultura e della lingua siciliana attraverso le feste ricreate a Monterey

La festa di Santa Rosalia è sempre celebrato in Sicilia a luglio per onorare e per ringraziare Santa Rosalia per la sua protezione dei pescatori contro le pericolose condizioni del mare, e anche per l’arrivo di un’abbondanza di pesce. Come tanti santi siciliani che sono associati alla pesca, la statua di Santa Rosalia viene portata fuori dalla chiesa prima della stagione della pesca, o almeno una volta all’anno, per benedire le barche dei pescatori (Thomas). È interessante che questa tradizione di esporre la statua e benedire le barche sia ancora praticata nelle varie città siciliane (Speroni, 78). La festa di Santa Rosalia originalmente è stata ricreata a Monterey negli anni 1930, ed, inizialmente, era più celebrata dagli immigranti di San Vito Lo Capo e Isola delle Femmine che quelli di Marettimo. McKibben nota che le donne, che erano fondamentali nel portare la famiglia avanti e nello stabilire la loro identità, erano anche le fondatrici dell’organizzazione della festa a Monterey. Inoltre, c’è stata una breve pausa durante gli anni della seconda guerra mondiale, ma dal 1946, la festa di Santa Rosalia è continuata senza interruzione ogni anno, e ancora oggi viene organizzata da un comitato di siciliani. (Speroni)

Durante la celebrazione tra 1946-1950, si faceva una messa nella cattedrale di San Carlos a Monterey, seguita da una processione dalla chiesa al pontile, dove le barche venivano benedette. La statua della santa poi veniva riportata in chiesa per le cerimonie religiose conclusive. La sera si festeggiava con una grande cena e si ballava nella sala parrocchiale. Dopo 1951, la festa ha cominciata ad adottare delle caratteristiche più americanizzate. Come nota Speroni, gli eventi tradizionali e religiosi della celebrazione sono stati inframmezzati con vari giochi, i fuochi d’artificio, una parata e un concorso tra le ragazze per vincere il titolo di essere Regina di Santa Rosalia. Tradizionalmente, si buttava una semplice ghirlanda nel mare per tutti gli uomini morti nel mare; anche questa cerimonia è stata continuata, solo che hanno cominciato a creare delle ghirlande più grandi ed elaborate.

Oggi per la festa di Santa Rosalia viene organizzata una parata, nella quale la statua è portata dalla cattedrale ad una piazza vicino al pontile, mentre tanti spettatori la guardano passare in Via Alvarado; la parata ha anche dei gruppi che si vestono d’abbigliamenti tipici, copiando la vecchia moda dei siciliani dell ‘800. In un senso, questo rito sembra una mescolanza di una processione e una parata, perché ha sia gli elementi religiosi, sia quelli divertenti. La piazza viene riempita da tantissimi immigrati italiani e dai loro figli, che partecipano nei tornei di bocce, nel ballo tradizionale della tarantella e anche alle gare musicali per cantare ‘O Sole Mio’ sul palcoscenico. Come in tutte le feste, il cibo è una parte importantissima, sia per la celebrazione del passato, sia per il presente; Richard Gambino dice “to all Mediteranean people food is the symbol of life” (Taylor, 30). Oggi durante il festival, si trovano tanti banchi che vendono vari piatti tipici della Sicilia, come le panelle, gli arancini e i cannoli. Anche se tanti elementi tradizionali della festa sono stati modificati attraverso gli anni, Santa Rosalia è anch’oggi  una festa in cui i siciliani e altri italiani hanno la possibilità di conversare nel loro dialetto e di mangiare dei piatti tipici. Tuttavia, la celebrazione, anche con la contribuzione della vita americana e l’allontanamento dalle tradizioni di pesca, serviva come un giorno per raccogliere tutti i siciliani insieme per divertirsi e godere del loro passato. Per queste ragioni, la festa è cresciuta per includere tutti gli italiani di varie regioni, non solo i siciliani, ma è interessante che il comitato e la maggior parte dei partecipanti della festa siano principalmente siciliani.  (Speroni)

Dopo aver stabilito la festa di Santa Rosalia, gli immigranti, in particolare quelli di Marettimo, hanno iniziato una nuova tradizione a Monterey, celebrando la festa di San Giuseppe, il loro santo patrono. Tranne la Pasqua e il Natale, San Giuseppe, celebrato il 19 marzo, è la festa più importante per i ‘marettimari’, in cui la celebrazione dura tre giorni in Sicilia. Per quanto riguarda i componenti tradizionali della festa, la sera prima c’è sempre il rito della “Duminiara.”  Vengono create e bruciate tre fascine di legno, erica e rosmarino, che rappresentano i tre membri della famiglia sacra. La celebrazione comincia con l’arrivo della banda che gira tutta l’isola per i tre giorni, suonando della musica festiva. (Vaccaro)

Nel giorno di San Giuseppe, una tavola viene preparata sul palco in piazza. Per onorare il santo, i bambini, rappresentando la sacra famiglia, servono il pranzo ad alcuni uomini scelti ogni anno. Prima del pranzo, c’è il rito dell’Alloggiate fuori della chiesa, nel quale viene ricreata la scena della sacra famiglia che cerca ospitalità, dopo essere fuggita dall’Egitto. Dopo la messa e il pranzo, la statua di San Giuseppe è portata fuori dalla chiesa e passa da tutte le case in una processione. Mentre si fermano davanti a una casa, gli abitanti gli donano dei soldi, mentre sono offerti tre ‘panuzzi,’ che rappresentano la Vergine Maria, San Giuseppe e Gesù. Come tutte le feste italiane, il cibo ha un ruolo fondamentale. Oltre ai panuzzi che vengono salvati in numero di tre, si preparano due dolci speciali, il pignolo e la cubbaita, da condividere con tutti i residenti. Questi dolci si trovano solo durante questa festa. È interessante che questo rito sia ancora praticato a Marettimo, anche se può durare 12 ore. (Vaccaro)

Come la festa di Santa Rosalia, San Giuseppe è stato anche modificato nella riproduzione a Monterey, ma le festività stimolano lo stesso un gran senso d’orgoglio d’essere marettimari. Nel 1947, Vitina Perrone, una signora che si è trasferita a Monterey quando era bambina, spiega che lei con un gruppo di donne siciliane, ha cominciato la festa di San Giuseppe a Monterey per i marettimari lontani da casa (McKibben). Nel libro di McKibben, le donne parlano della loro esperienza d’incontrarsi a casa di una siciliana per tante ore, in preparazione del pignolo e la cubbaita per la festa. La celebrazione a Monterey inizia con il rito dell’Alloggiate e la messa alla cattedrale di San Carlos, seguiti da un pranzo nella sala parrocchiale. Tanti elementi importanti della festa vengono eliminati a Monterey. Per esempio, i tanti giochi, giocati in piazza dai giovani, come la corsa dei sacchi, non esistono a Monterey. Inoltre, la celebrazione adottata è solamente festeggiata un giorno, e ovviamente, il santo non viene portato per tutta la città di Monterey. Mentre il rito della “Duminiara” è essenziale per la festa a Marettimo, viene saltato a Monterey. Le tante modificazioni hanno cambiato il modo in cui si festeggia, ma ultimamente, questa festa ha mantenuto i valori fondamentali. (Vaccaro)

Come la festa di Santa Rosalia, la festa di San Giuseppe ha conservato la cultura siciliana tra le famiglie degli immigranti. Oltre all’aspetto religioso, la festa è un giorno in cui i siciliani si riuniscono, tenendo vive le loro tradizioni. Una caratteristica che distingue la loro identità è il loro dialetto, e durante queste feste tradizionali, la conversazione del dialetto è vitale. Riguardo alla festa di San Giuseppe, un marettimaro immigrante dice “The Italian language was dominant, if not exclusive. (McKibben, 110)

Non c’è dubbio che questa gente abbia creato una collettività che ha assicurato la sopravvivenza, non solo della loro cultura, ma anche del dialetto siciliano. De Mauro illustra che “il dialetto è stato il mezzo con cui il popolo ha tramandato di secolo in secolo, per successive generazioni, il patrimonio tecnico, le esperienze esistenziali, le feste, i riti, i canti, le leggende, i proverbi, le filastrocche, le ricette e usando fa parte della storia locale” ( De Mauro 54). È accattivante che il dialetto che i siciliani a Monterey hanno portato con se, è rimasto quasi imutato ed è stato passato alle successive generazioni attraverso gli anni. In Sicilia oggi, il siciliano antico è meno utilizzato, ma è interessante che si trovi ancora in altre parti del mondo dove gli emigranti siciliani si sono trasferiti, come a Monterey.

La storia del dialetto siciliano e l’uso dialettale nella Sicilia oggi

I tanti dialetti italiani contribuiscono alla ricca e antica cultura d’Italia. Questi vecchi dialetti italiani che vengono dal latino popolare e risalgano ai tempi romani si sono modificati durante la storia d’Italia, a causa di vari movimenti, diverse guerre e anche le pressioni sociali (Avolio, 24). La Sicilia ha una lunga storia, in cui tanti conquistatori hanno invaso questa zona, portando nuove parole e nuovi influssi linguistici. Dunque, il dialetto siciliano è stato creato dalle parole arabe, greche, spagnole, francesi e da altre lingue.

Anche nel tempo contemporaneo, il dialetto si è modificato a causa dell’unificazione d’Italia, delle guerre mondiali e dei regimi politici. Mentre il siciliano si è evoluto nella madre patria, gli emigranti italiani che si sono trasferiti all’estero, specificamente negli Stati Uniti, hanno portato il loro dialetto con se. Questo siciliano, introdotto negli Stati Uniti, è rimasto praticamente immutato perché gli immigrati, come quelli a Monterey, hanno assicurato la sopravvivenza del dialetto tra loro, attraverso le loro pratiche religiose e culturali. Quindi, oggi in Sicilia, si usa un dialetto siciliano modificato e italianizzato, mentre nei luoghi in cui gli immigrati siciliani si sono trasferiti, come a Monterey, gli immigranti siciliani e i loro discendenti ancora parlano un dialetto siciliano più antico ed originale.

La lunga e complessa storia della lingua italiana si è sviluppata attraverso tanti anni, ma recentemente ci sono stati avvenimenti molto influenti sul cambiamento della lingua orale in Italia, specificamente per i dialetti e i loro ruoli nella vita quotidiana. Dopo l’unificazione d’Italia nel 1861, il fiorentino è stato rinforzato come la lingua nazionale per l’Italia, anche se la maggior parte della gente neanche conosceva questa lingua. Nel 1860, solo 2,5% della gente italiana parlava l’italiano (LaGumina, 307). Per questa ragione, l’Italia era “una realtà frammentaria e quindi non nazionale” (Pasolini, 81). Nella vita quotidiana, la gente di tante zone, come la Sicilia e i paesi in campagna, parlava solo nel proprio dialetto perché quasi tutte le persone erano analfabete e non conoscevano la lingua nazionale. Oltre all’analfabetismo, tra gli anni 1860 e 1900 “Nowhere outside of Palermo was Italian regularly spoken, not even by local notables” (Gabaccia, 20). Quindi, non esisteva la necessità d’imparare l’italiano standard nella loro regione perché come dice Pasolini, “la lingua parlata è dominata dalla pratica” (Pasolini, 81).

Il catalizzatore per diffondere la lingua nazionale è stato i mass media, specificamente la radio e la televisione. Durante il regime Fascista nella seconda guerra mondiale, Benito Mussolini, chiamato il Duce, ha scoraggiato l’uso dei dialetti e l’analfabetismo perché questi due elementi creavano una divisione fra l’Italia. Anche prima della seconda guerra mondiale, entro1929  “ il Duce del fascismo assumeva ormai un potere assoluto e dittatoriale”, e quindi, l’influsso dei fascisti erano già cominciati a circolare l’Italia (Migliorini, 315). Mussolini ha imposto varie regole per uguagliare la lingua italiana che dovesse essere corretta, uniforme e pulita. Il Duce ha emesso la regola che gli studenti dovevano essere istruiti in Italiano standard. In più, Mussolini usava la radio per trasmettere i suoi messaggi in tutta l’Italia. Siccome la radio trasmetteva solo la lingua italiana, è stata molto utile per la diffusione della lingua standard in tutte le regioni. Inoltre, le trasmissioni televisive hanno avuto un simile effetto nel diffondere l’italiano standard perché i canali usavano solo l’italiano standard per tutta la nazione. Come ha detto Pasolini, “il linguaggio televisivo pare aver accantonato la sua funzione didascalica in direzione di un bell’italiano, grammaticamente puro fino a un fondamentale purismo” (Pasolini, 92).  Perciò in propagare l’italiano, i mass media hanno provato a diminuire, e anche, eliminare la variazione fornita dai dialetti in Italia.

Dunque, questi eventi che hanno promosso una lingua unica, in effetti, hanno avuto grandi conseguenze per i dialetti, che spesso sono stati “italianizzati,” mentre la loro frequenza dell’uso si è diminuita, specialmente nei settori pubblici. Il dialetto siciliano è un buon esempio che mostra gli esiti di questi influssi. Per tanti anni, la Sicilia usava quasi solo il dialetto per tutte le comunicazioni nella vita quotidiana. Con i cambiamenti portati dall’unificazione, la seconda guerra mondiale e l’invenzione della tecnologia moderna, c’è stata la necessità di uniformare la lingua per ragioni economiche, politiche e sociali. Corrado Avlio afferma che “Le lingue hanno nella loro vita un primo periodo d’ambizione o di accrescimento nel quale assimilano con avidità tutte le parole nuove esprimenti cose o bisogna nuovi” (Avlio, 86-87). Oggi si vede che il siciliano in Sicilia, come altri dialetti italiani, è molto italianizzato perché tante parole siciliane sono state sostituite da parole dell’italiano standard o da parole straniere della tecnologia. A causa dello scoraggiamento nazionale, il dialetto siciliano non è usato più come la lingua quotidiana, ma invece, lo si usa solo tra la famiglia e gli amici. Cristoforo Maiorana, un ragazzo di Marettimo, dice “Il dialetto lo parlo a casa o in compagnia dei miei amici, mentre in tutte le altre occasioni uso principalmente l'italiano,” così dimostrando l’uso del dialetto è stato diminuito. Anche se i dialetti sono usati da un terzo della popolazione, De Mauro crede che “questa percentuale diminuisca in futuro” (De Mauro, 35).

Inoltre, usare il dialetto fuori di casa spesso ha una connotazione negativa. Nonostante “è un bel dialetto, che tende ad essere tramandato anche alle nuove generazioni, proprio perché è molto utilizzato all'interno delle famiglie,” Cristoforo Maiorana sostiene che parlare il siciliano fuori di casa è “una cosa negativa [perché] l'utilizzo del dialetto viene considerato come sinonimo di ignoranza” (Maiorana). Dunque, la pressione sociale scoraggia l’uso del dialetto fuori di casa, ma il dialetto invece deve essere abbracciato perché il siciliano è “un segno distintivo di provenienza” (Maiorana).

Il siciliano a Monterey

Dopo il loro arrivo in California, il siciliano ha continuato ad essere usato a Monterey tra il gruppo di pescatori siciliani immigrati nel ventesimo secolo e le loro famiglie, senza contenere le nuove modifiche, come quelle che hanno convertito il siciliano in Sicilia. Siccome “nell’Italia settentrionale e meridionale, non si poteva far altro che parlare dialetto (o un italiano intriso di dialetto)” alla fine dell’ottocento, gli emigrati siciliani hanno portato con sé la lingua parlata, il siciliano (Migliorini, 249). La maggior parte di questi immigrati ha insegnato ai loro figli questo siciliano originale, e così la lingua che in Sicilia è raramente sentita nei settori pubblici, è ancora presente a Monterey. Le recenti generazioni di italo-americani a Monterey di solito sono deluse di scoprire che il loro dialetto siciliano non è più usato come lingua dominante. Franca Torrente si è trasferita a San Francisco con suo marito quando aveva 28 anni; dopo quarant’anni in America, sono tornati alla loro città natale, Marettimo. Tornando in Sicilia, Franca si è resa conto dei cambiamenti della lingua e nota che “la differenza principale è che prima tutti parlavano il siciliano, anche a trapani, adesso si utilizza quasi sempre l'italiano” (Torrente). Inoltre, Franca afferma che il dialetto, che prima si parlava ovunque e adesso si utilizza solo a casa, non è cambiato molto, ma “molte parole antiche che si usavano prima ora si sono perse” (Torrente). Alcuni emigranti che sono tornati in Sicilia dopo tanti anni, hanno avuto una simile reazione, per cui la lingua che hanno lasciato è diventata meno usata, ed è stata cambiata perché alcune parole sono state integrate nella lingua, mentre altre sono state eliminate. Inoltre, i figli e i nipoti d’emigrati, sia quelli che parlano il dialetto, sia quelli che conoscono solo una parte, sono scioccati quando scoprono che la lingua che la loro famiglia usa è, infatti, il siciliano e non è considerato l’italiano.

Susan M. Taylor registra un simile concetto della lingua siciliana a Tampa Florida, in cui gli immigrati hanno conservato il loro dialetto come gli immigranti di Monterey. Taylor dice che la sopravvivenza del dialetto siciliano immutato è stata alimentata dall’uso della lingua e dal fatto che le persone ancora la usano (Taylor, 2). Come a Monterey, la continuazione dell’uso dialettale è stata favorita dalla scarsa popolazione delle prime e seconde generazioni viventi; è stata anche dovuta al contatto che è stato mantenuto con la Sicilia. Inoltre, l’esistenza dei club, le interazioni tra le famiglie e gli amici, e l’uniformità del dialetto, dato che gli immigrati sono venuti da paesi geograficamente vicini, sono stati importanti nella preservazione del dialetto. I siciliani a Tampa anche festeggiano Santa Rosalia e San Giuseppe, come i siciliani di Marettimo, così sfruttando l’occasione di parlare fra loro. Inoltre, Nathan Glazer afferma che la lingua si è mantenuta con più successo nei paesi piccoli perché solitamente esiste una grande concentrazione di un gruppo in particolare (Glazer, 362). Glazer attribuisce il dialetto inalterato, specificamente quello di Monterey, al fatto che tutti gli immigrati siciliani sono venuti dalle città con simili dialetti, mentre altri posti urbani hanno attirato immigrati di tutta l’Italia. Dunque, i siciliani a Tampa, come quelli di Monterey, si possono incontrare ogni giorno, o almeno ogni settimana, per chiacchierare in dialetto. Anche oggi, nei caffè a Monterey, si trovano gli uomini italo-americani che si incontrano per conversare fra loro, usando il dialetto portato dai loro antenati.

Anche se il dialetto siciliano è considerato meglio conservato a paragone delle altre lingue portate da vari immigrati, ci sono stati un po’ di aggiunte, cioè nuove parole dall’influsso americano. Nel dialetto siciliano a Monterey, nuove parole ibride erano state create dall’integrazione di parole americane con quelle siciliane. Vari dialetti italiani a New York sono stati analizzati da Domenico Ortisi, e questo critico spiega che i tanti immigranti siciliani, nonostante la loro origine, hanno introdotto alcune parole al loro dialetto, in cui “il fenomeno di sicilianizzazione si conforma alle caratteristiche lessicali e fonetiche dell'originale dialetto siciliano” (Ortisi, 42). Per esempio, tra i siciliani a Monterey, è comune sentire la parola ‘giobba’ per riferirsi al ‘job,’ cioè il lavoro. Altre parole che ho notato nell’uso siciliano sono la ‘chieca’ per la torta, o la ‘blanchetta’ per la coperta. Come i cambiamenti linguistici che sono accaduto in Sicilia, e anche in tutta l’Italia, c’è stato un simile fenomeno tra gli immigranti italiani all’estero, dove sono state introdotte nuove parole nella lingua dialettale. È importante notare che le modificazioni tra le lingue dialettali in America hanno avuto più addizioni che riduzioni, così le lingue degli italiani sono rimaste più o meno uguali, solo espandendo il loro vocabolario con parole inventate da loro. Con il passare del tempo, penso che le aggiunte aumentino, specificamente tra le nuove generazioni in America che scambierebbero parole di questo genere per sostituire quelle che non sanno. (Ortisi)

La nuova generazione di siciliani-americani a Monterey

Per quelle famiglie che hanno esposto i loro figli alla cultura siciliana, il mantenimento della cultura e della lingua siciliana a Monterey sarà realizzato dai tanti giovani, che sono la prima, seconda o, alcune volte, la terza generazione di immigrati. Questi giovani manterranno le tradizioni e la lingua viva, grazie al rapporto che i primi immigranti hanno tenuto con le loro famiglie e i loro amici che erano rimasti in Sicilia. Mentre tanti siciliani-americani hanno imparato il siciliano a casa dai loro genitori o dai nonni, loro stessi hanno creato un legame con gli abitanti in Sicilia, grazie ai viaggi fatti spesso in Sicilia per l’estate e le feste. A Monterey, ci sono delle famiglie siciliane che tornano ogni estate in Sicilia, mentre altre vanno meno spesso. Maria Isabella Carriglio, una ragazza della Sicilia che conosce tante di queste famiglie che tornano per le vacanze, nota che “gli americani che tornano a Marettimo in vacanza sono accolti con grande calore dalla comunità, come se tornassero nella loro casa” (Carriglio).

Girolamo Aliotti è venuto per la prima volta in America negli anni ‘80 quando aveva sei anni, a causa del trasferimento della sua famiglia a Monterey. Non conoscendo la lingua inglese, Girolamo, come sua sorella maggiore e suo fratello minore, ha dovuto imparare la lingua a scuola, mentre a casa si parlava, e ancora oggi si parla, il siciliano. Riflettendo al passato, Girolamo esprime gratitudine ai suoi genitori per i loro viaggi estivi in Sicilia, in cui Girolamo ha potuto facilmente mantenere non solo uno stretto rapporto con i suoi nonni ed altri parenti, ma anche con amici in cui ha frequentato l’asilo in Sicilia. Girolamo dice:

“As a child I would go back to Sicily with my parents every other year. Because of this I have maintained a close friendship and relationship with the people from Sicily. I continue going often now as an adult because I miss my friends, my family house, my grandparents and all the things that have made me who I am.

A few examples of how I continue keeping up with the Sicilian traditions is by cooking meals that have been taught to me by my family and sitting down at the dinner table to enjoy with family, friends and loved ones.”

Questa citazione esprime tanto orgoglio per le radici e anche enfatizza come Girolamo, uno dei pochi della nuova generazione che ha questo forte legame, continui ad integrare alcune attività caratteristiche della Sicilia in America. (Aliotti, Girolamo)

Simile all’esperienza di Girolamo, Giovanni Aliotti, che non appartiene alla stessa parentela, e che anche lui abita a Monterey, è stato fortunato a tornare ogni estate a Marettimo da quando era bambino. Giovanni è di prima generazione ed è figlio di un immigrante siciliano sposato con una Siciliana-Americana di Monterey. Giovanni, che adesso ha ventiquattro anni, racconta che quando era bambino, i suoi genitori hanno parlato solo il siciliano a casa, per insegnargli il dialetto; infatti, Giovanni è andato il primo giorno dell’asilo non parlando una parola d’inglese. Adesso, Giovanni è orgoglioso d’aver la possibilità di parlare il dialetto perché ha potuto conversare con i suoi nonni in Sicilia, e ha potuto immergersi nella cultura siciliana, creando tante amicizie in Sicilia. Oltre alla lingua, Giovanni ha acquistato alcune delle stesse passioni dei suoi antenati, come la pesca che suo nonno e suo padre gli hanno insegnato. (Aliotti, Giovanni)

Anche se alcune famiglie hanno continuato ad insegare ai loro figli il siciliano, adesso con le seconde e le terze generazioni, c’è il rischio che questo siciliano intatto sarà estinto anche a Monterey, perché meno famiglie insegnano il dialetto ai figli. Simile a Taylor che ha espresso la sua incertezza della sopravvivenza del siciliano a Tampa, c’è la paura che il siciliano sarà estinto nell’immediato futuro a Monterey; quindi, questo dialetto più antico e meno modificato sarà perso per sempre. Con le prossime generazioni a Monterey, il distacco con la Sicilia diventerà sempre più grande a causa del loro allontanamento dalla cultura siciliana. Maria Isabella Carriglio ha espresso la ragione per questo distacco, e lei commenta che “i ragazzi di oggi sono, in gran parte, nati e cresciuti all'estero per cui non sentono questo forte attaccamento nei confronti dell'isola, dei suoi compaesani e del loro stile di vita. Ovviamente questo non vale per tutti” (Carriglio). Dunque, le feste tradizionali non hanno la stessa importanza per le nuove generazioni di siciliani-americani che hanno avuto per gli immigranti siciliani. In questo modo, la mancanza del dialetto parlato tra quelle famiglie che non hanno insegnato ai loro figli, ha contribuito tantissimo all’indebolimento del legame tra questi giovani e le loro radici familiari.

In conclusione, è evidente che gli immigrati di Marettimo, San Vito Lo Capo e Isola delle Femmine abbiano avuto un durevole impatto sulla città di Monterey, non solo per il loro contributo all’economia, ma anche per la diffusione e la conservazione delle loro radici. L’integrazione degli immigrati a Monterey ha creato una nuova comunità siciliana che ancora riflette la grande importanza della famiglia, delle vecchie tradizioni e della ricca e storica lingua siciliana a Monterey. La conservazione del dialetto siciliano più antico è soprattutto interessante e ironica, perché il siciliano dell’ottocento si usa ancora oggi a Monterey e in altri paesi negli Stati Uniti, mentre l’uso di questo siciliano è diminuito nella terra natia. Inoltre, vorrei enfatizzare la necessità di mantenere il rapporto con le proprie radici per la propria identità e per non dimenticare del passato famigliare. Gli immigrati siciliani hanno mantenuto un forte legame con la Sicilia, ma adesso la continuazione della cultura e del dialetto siciliano a Monterey dipende completamente dalle nuove generazioni. Dunque, è essenziale che le storie e le tradizioni d’immigrazione vengano studiate e registrate perché l’evoluzione della storia dimostra il fatto che i dialetti, i riti e le culture non vivranno per sempre. 

Works Cited: 

Aliotti, Giovanni. Personal interview. 10 May 2013.

Aliotti, Girolamo. E-mail interview. 16 May 2013.

Avolio, Corrado. Introduzione allo studio del dialetto siciliano. Edizioni della Regione siciliana. 1882. Print.

Carriglio, Maria Isabella. Internet videoconference interview. 20 May 2013.                                                                                                                                                                                                                      
Cerruti, Massimo. "Lingua Italiana." Italiano e dialetto oggi in Italia. <http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/italiano_dialet...

Crialese, Emanuele, dir. Nuovo Mondo. Miramax, 2006. Film. 26 Apr 2013.

De Mauro, Tulio. Storia linguistica dell'Italia unita. Bari, Italia: Editori Laterza, 1963. Print.

D'Onofrio, Salvatore. "Amicizia ed eros nel comparatico." Trans. Array Le Parole Delle Cose: Simboli E Riti Sociali in Sicilia. Congedo Ed., 1997. 17-59. Print.

Ferrante, Benedict. Telephone Interview. 6 May 2013.

Gabaccia, Donna. Militants and Migrants: Rural Sicilians Become American Workers. London: Rutgers University Press , 1949. Print.

Glazer, Nathan. “The Process and Problems of Language Maintenance: An Integrative Review.” Fishman 358–68.

Hanson, Joyce. "Beyond Cannery Row: Sicilian Women, Immigration, and Community in Monterey, California." Oral History Review. 34.2 (2007): 150-152 . Print.

LaGumina, S. J., F. J. Cavaioli, S. Primeggia, and J. A. Varacalli. The Italian American Experience: An encyclopedia. New York, NY: Garland, 2000. Print.

Larimer, Timothy. "Sardines Return To Monterey Bay, But There`s No One Left To Shout." Chicago Tribune 1 Jan 1985.

Maiorana, Cristoforo. Internet videoconference interview. 20 May 2013.

McKibben, Carol Lynn. Beyond Cannery Row: Sicilian Immigration, and Community in Monterey, California 1915-99. Chicago: University of Illinois Press, 2006. Print.

Migliorni, Bruno; Baldelli, Ignazio. Breve storia della lingua italiana. Firenze: Sansoni Editore, 1964. Print

Ortisi, Domenico. "Alcune Osservazioni sulla Formazione del Dialetto Siculo-Americano." Italica. 28.1 (1951): 42-47. Print.

Pasolini, Pier Paolo. "Nuove Questioni Linguistiche." Trans. Array La Nuova Questione della Lingua. O. Parlangèli. Paideia Editrice Brescia, 1964. Print.

Rinaudo, Giuseppa. Internet videoconference interview. 2 February 2013.

Renda, Francesco. L'emigrazione in Sicilia 1652-1961. Roma: Salvatore Sciascia Editore, 1989. Print.

Speroni, Charles. "Western Folklore." California Fishermen's Festivals. Vol. 14.No.2 (1955): 77-91. Print.

Taylor , Susan M. "The Survival of the Sicilian Dialect of Tampa, Florida." <http://tell.fll.purdue.edu/RLA-Archive/1993/Italian-html/Taylor,Susan.htm>.

Telve, Stefano. Storia della lingua italiana per immagini: Dal latino all’italiano contemporaneo. Città di Castello, Italia: Casa Editrice Edimond, 2010. Print.

Thomas, Tim, and Dennis Copeland. Images of America: Monterey’s Waterfront. San Francisco, California: Arcadia Publishing , 2006. Print.

Torrente, Franca. Personal interview. 20 May 2013.

Vaccaro, Vito. " San Giuseppe, il Santo Patrono dell’Isola di Marettimo." Trapani Nostra: L'archivio della memoria di Trapani e provincia. 17 Mar 2013: n. page. Print. <http://www.trapaninostra.it/wp/2013/03/17/marettimo-festa-di-san-giusepp....

Walton, John. Storied Land: Community and Memory in Monterey. Berkeley and Los Angeles, California: University of California Press, 2001. Print.

Willson, Perry . Women in Twentieth-Century Italy. England: Palgrave Macmillan, 2009. Print.

©