Una riflessione sull'immigrazione in Italia

Arturo Díaz, The University of California, Los Angeles        

Sono uno studente di italiano, ma come mi sono trovato a studiare questa lingua è un poco complicato da spiegare poiché le mie radici non c’entrano nulla con l’Italia.  La mia famiglia lasciò la piccola isola caraibica di Cuba più di quaranta anni fa e venne negli Stati Uniti, non tanto con il sogno di creare una nuova vita basata sugli ideali americani di libertà, democrazia e capitalismo, ma perché non c’era rimasto nessun futuro nella patria per i miei nonni e i loro parenti.  Mio nonno era ammalato e, grazie all’embargo americano contro il governo comunista cubano, non c’era la medicina di cui lui aveva bisogno.  Gli americani si interessavano più di dare un esempio al mondo sulle conseguenze di scegliere un sistema socialista piuttosto che della sofferenza di un popolo.  In più, al nuovo governo cubano importava più la lotta ideologica contro il capitalismo e l’imperialismo americano che la condizione dei suoi cittadini.  Con le spalle al muro, l’unica opzione per la mia famiglia era emigrare, cioè prendere le poche cose che si potevano portare in mano e lasciare il paese.  Non posso spiegare i dettagli perché non li ho vissuti io, però le storie con le quali sono cresciuto mi hanno impressionato profondamente.  Forse quest’immigrazione della mia famiglia è il legame che ho con gli italiani dato che anche molti di loro hanno sofferto un simile destino.         

L’Italia ha avuto una storia complessa riguardo all'immigrazione.   Prima del Risorgimento ottocentesco, quando la penisola italiana era ancora divisa in molte piccole province e città-stati autonome, il lasciare la città natale e l’andare in un altro paese, anche a pochi chilometri di distanza, era come andare all’estero.  Non c’era una nazione con una lingua e una cultura uniforme, invece c’erano diversi popoli con i loro dialetti e i propri costumi.  Poi, dopo che queste persone diverse si unirono sotto una bandiera verde, bianca e rossa con una nuova lingua nazionale, molti dei nuovi cittadini italiani ebbero bisogno di lasciare non solo le loro città ma anche lo stesso paese per creare una nuova vita all’estero.  Sebbene gli italiani lasciassero la loro patria per vari motivi, tuttavia quelli che fuggivano erano spesso i poveri ed i più disgraziati.  La disgrazia è il fattore più comune per gli immigranti, poiché non si prende la decisione di lasciare tutto ciò che si conosce quando le cose vanno bene a casa.  Gli italiani soffrirono purtroppo delle disgrazie in varie periodi dopo l’unificazione della nazione, specialmente all’inizio del ventesimo secolo, poi durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo quel conflitto.        

Anche oggi, nel primo secolo del nuovo millennio, l’Italia continua a provare un conflitto con l’immigrazione, però in maniera diversa.  Ho avuto l’opportunità, nei miei studi, di essere stato parte di un progetto tratto dal film italiano L’Orchestra di Piazza Vittorio che riguarda l’influsso di emigrati stranieri in Italia.  Questa volta gli italiani non lasciano la loro patria, invece ora sono gli ospiti dei nuovi stranieri che cercano di creare nuove vite nella penisola italiana.  Questo cambio di ruolo da essere un paese di emigrazione ad uno di immigrazione crea nuovi problemi per la nazione.  Il film tratta specificamente di questi problemi degli emigrati in Italia, che confrontano spesso un popolo italiano che non è contento di condividere il proprio paese con altri.  Ciononostante, l’Italia non è unica in questo aspetto, siccome l’immigrazione in generale incide su tutto l’Occidente nel bene o nel male.      

Lo scopo di questo saggio sarà di analizzare almeno superficialmente alcuni di questi problemi, poiché un’analisi completa potrebbe riempire molti volumi se non una biblioteca intera.  Vorrei spiegare ciò che il mio studio d’italiano mi ha fatto capire riguardo alla situazione immigratoria non solo in Italia ma in tutto l’Occidente.  Inoltre, parlerò anche della mia esperienza come un membro della prima generazione nata in un paese straniero e la lotta, diciamo, fra le mie radici cubane e la cultura americana nella quale vivo.       

Il film L’Orchestra di Piazza Vittorio comincia con il narratore che racconta un poco della storia di un quartiere a Roma.  Lui narra che quando c’era la monarchia la piazza era un centro mercantile e poi dopo la guerra diventò un mercato aperto a tutti, che ebbe anche un ruolo cinematografico quando venne usata nel film neorealista di Vittorio De Sica «Ladri di biciclette».  Questo discorso dà allo spettatore una prospettiva storica che approfondisce  l’intenzione riguardo al significato del luogo.  Comunque, la spiegazione che riguarda specificamente gli italiani è l’importanza di questa zona per loro.  Invece c’è un contrasto fra le parole e le immagini che passano sullo schermo, poiché le persone che si vedono sono per lo più degli stranieri di diverse culture e nazionalità.  Si capisce bene che dai tempi passati fino ad ora la situazione demografica è cambiata drasticamente.        

Con il passare del tempo, la piazza si è trasformata in un vero e proprio centro per gli immigranti, tanto che funziona oggi come un condotto di emigrati che entrano in Europa tramite Roma; forse perché è vicina alla Stazione Termini, come viene narrato.  Inoltre, le immagini fanno capire che lì si trovano anche la povertà e la malavita.  Il narratore non nega questo fatto e spiega come la situazione sia letteralmente crollata in quella zona.  Si possono vedere «tutte le strade della vita: le prostitute, gli spacciatori di droga, e gli immigranti».  Eppure, serve anche come un posto dove «gli immigranti possono imparare e usare il loro italiano».  Almeno c’è qualcosa di positivo; la vita è stata difficile per loro e si capisce che le difficoltà non sono diminuite affatto nella loro nuova residenza.  Anzi, sembrano essere peggiorate poiché si vedono dei graffiti su un muro con le parole scritte in rosso: «piazza vittorio tornerà italiana».       

La narrazione continua spiegando che «sfortunatamente, la piazza è anche il centro di un’altra attività: le dimostrazioni contro gli immigranti».  Per farci capire bene il fatto, il film mostra delle scene nelle quali molte persone protestano domandando agli immigranti di lasciare l’Italia e di tornare ai loro paesi d’origine.  Si vede una manifestazione a piedi, una sfilata di persone con in mano degli striscioni, che gridano mentre passano per le strade dove abitano gli immigranti.  Però, fortunatamente, come il narratore aggiunge: «queste manifestazioni non hanno espresso l'opinione di tutti noi italiani; infatti, molti di noi volevano combattere quest’ignoranza».  Gli italiani di cui parla facevano anche loro la loro protesta, questa volta contro la legge Bossi-Fini, ancora oggi in vigore, che è una legge poco amichevole verso gli immigranti.       

La legge Bossi-Fini mostra lo stato misero di come i politici in Italia vedono gli stranieri.  Questa legge prende il suo nome da Gianfranco Fini, il capo di Alleanza Nazionale, e Umberto Bossi, il capo della Lega Nord.  Questa legislazione, approvata il 30 luglio 2002, modificò la normativa precedente, la legge Turco-Napolitano, in tal modo che intende «rafforzare le misure di contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani» e «favorire l’inserimento dell’immigrato che risiede e lavora regolarmente in Italia».   Nell’articolo Immigrazione, la legge Bossi-Fini punto per punto, il giornale La Repubblica esamina i dettagli di questa legge: 1) il permesso di soggiorno viene concesso solo allo straniero che ha già un contratto di lavoro; 2) il presidente del Consiglio si incarica di pubblicare «un decreto con le quote flussi, cioè il numero di extracomunitari che possono entrare»; 3) si abroga «la figura dello sponsor, prevista dalla Turco-Napolitano»; 4) si potrà assumere «una colf a famiglia nonché un numero illimitato di badanti purché venga certificato la presenza di anziani o disabili che ne hanno bisogno»; 5) il cittadino extracomunitario può chiedere «di essere raggiunto dal coniuge, dal figlio minore, o dai figli maggiorenni purché a carico e a condizione che non possano provvedere al proprio sostentamento»; 6) l’irregolare, una persona con documenti ma senza permesso di soggiorno, sarà espulso «mediante “accompagnamento alle frontiere”, cioè viene materialmente messo su un aereo o una nave che lo riporta in patria»; 7) il clandestino, una persona che non ha i documenti d’identità, sarà «condotto in appositi Centri di permanenza fino a 60 giorni, durante i quali si cerca di scoprirne l'identità per poterlo rimandare in patria»; 8) si devono prendere le impronte digitali allo straniero che chiede il permesso di soggiorno «per poterlo riconoscere se contraffà i documenti»; 9) l’extracomunitario «che rientra in Italia clandestinamente dopo un’espulsione, compie un reato che lo condurrà in prigione».   Ci sono anche altri articoli riguardo ai minori, ai contributi INPS per gli stranieri che lavorano almeno cinque anni, agli infermieri professionisti e per prevenire l’immigrazione clandestina.   

In breve, senza seguitare nei dettagli legali, la legislazione tratta le persone come si tratta la mercanzia.  Se gli stranieri possono fornire un beneficio economico per il paese, allora sono benvenuti, viceversa, si dovrebbero buttare via come si fa con la merce scaduta.  Un sito web italiano che illustra il significato di questa legge per le vite degli immigranti descrive la situazione così: 

«Il rischio è che queste persone, da tempo regolarmente soggiornanti in Italia e ben inserite nel mercato del lavoro, tornino ad essere clandestine. Molti commentatori hanno rilevato un atteggiamento prevalentemente discriminatorio della legge stessa.  Il “migrante” viene infatti classificato in “negativo” per il solo fatto di essere lavoratore. Non viene assolutamente tenuta in considerazione “l’umanità” dello stesso.»

Inoltre, c’è una serie di problemi con gli immigranti che hanno dei contratti di lavoro tramite una agenzia di lavoro temporaneo.  C’è anche la possibilità di «ritenere discriminatoria l’identificazione tramite impronte digitali dello “straniero” di origine extracomunitaria».    Insomma, come il sito web italiano Ricostruire insieme spiega: 

«L’aspetto più rilevante negativamente è la volontà di considerare degli esseri umani solo come merce, accettata solo se e quando deve svolgere un lavoro, e rifiutata e rimandata indietro quando ha smesso di svolgerlo. Sfruttare dunque come “forza lavoro” delle persone, disinteressandosi di tutto il resto. E questo risulta tanto più offensivo se attuato da un paese che ha costruito parte del proprio benessere economico anche attraverso un’emigrazione, sia interna (sud verso nord), che esterna (Italia verso Germania, Svizzera, Stati Uniti ecc…)» .

Questo ultimo punto è significativo, perché l’Italia ha un’esperienza relativamente recente riguardo all’emigrazione che i propri cittadini facevano.  Forse i signori Bossi e Fini pensavano che i loro compatrioti fossero stati trattati male in altri paesi.  Però non sarebbe meglio dare un esempio migliore al resto del mondo di come si dovrebbero accogliere gli immigranti, invece di seguire normative cattive?  Invece la situazione sembra essere peggiorata dal 2002, quando la legislazione è entrata in effetto.

Le condizioni dentro al Centro d’identificazione ed espulsione (Cie) si possono paragonare a una prigione, secondo il garante a Bologna Desi Bruno.  Le sue parole esatte erano: «Peggio persino della detenzione».    In aprile del 2010, lui ha visitato il centro d’identificazione ed espulsione di via Mattei che a quel tempo accoglieva ottantaquattro persone in una struttura che «non è pensata per trattenere le persone fino a sei mesi».   Con la legge Bossi-Fini, il tempo massimo che potevano rimanere gli immigrati clandestini era già due mesi, ma la durata è stata prolungata fino a sei mesi.  Le persone trattenute nel Сie, di cui quarantanove uomini e trentacinque donne, «considerano un tempo così lungo di permanenza ingiusto perché priva della libertà personale per un periodo oggi davvero considerevole a causa della mera condizione di irregolarità», ha spiegato il Garante.               

Inoltre, le persone per cui fallisce la procedura di espulsione arrivano dal carcere per trovare che hanno ancora bisogno di essere private della libertà per un periodo sino a sei mesi in più.  Bruno sottolinea che: «il Cie non è strutturato per permanenze di così lunga durata, che trasformano in modo definitivo il trattenimento in pena detentiva, senza che sia stata prevista l’organizzazione propria del regime detentivo e le garanzie anche di tipo giurisdizionale che ad essa si accompagnano».

Poi quando queste persone trattenute, anzi imprigionate senza il processo giudiziario, perdono la pazienza con la loro condizione, è inevitabile che protesteranno.  Ai Cie in diverse parti di Italia, «si è propagata l’ondata di protesta che sta generandosi per le condizioni di vita in questi centri per immigrati clandestini in attesa di espulsione.»   In agosto del 2009 nella città di Modena circa trenta nordafricani iniziarono uno sciopero della fame contro il decreto che aveva allungato il tempo di permanenza.  In più la tensione scoppiò in violenza fra gli stessi immigrati.

«Un marocchino è stato preso a pugni da altri immigrati.  Mentre altre etnie – pakistani, cinesi, centroafricani – tendevano a dissociarsi dalla protesta. Anche le donne del centro hanno cercato di non farsi coinvolgere.  Verso le 21 le tensioni accumulate da parte di alcuni sono quindi sfociate in una vera e propria rivolta, con materassi ammucchiati e dati alle fiamme.  Per spegnere l’incendio sono intervenuti i vigili del fuoco, ma i danni sono stati ugualmente ingenti: varie camerate sono divenute totalmente inagibili».

Alcune persone furono anche ferrite.  La situazione diventò così grave che il questore ebbe bisogno di trasferire le donne in un altro centro ed, ironicamente, «di rimettere in libertà gli immigrati cinesi, in attesa di identificazione».  Soprattutto, sembra che queste proteste fossero organizzate, poiché le indagini trovarono che in altri casi dove c’erano state delle agitazioni le rivolte erano state suscitate dagli immigrati della stessa etnia.   È inevitabile che le persone trattenute in condizioni quasi di prigione rispondano in tal modo.  Quando non c’è rispetto fra gli umani, i conflitti cominciano.

Comunque, come il narratore del film ha spiegato prima, non tutti gli italiani hanno la stessa opinione negativa riguardo agli immigranti.  Ci fu uno scandalo a Bologna in aprile del 2010, quando il commissario Anna Maria Cancellieri disse che l’accesso ai nidi era vietato ai figli dei clandestini, perché c’era bisogno di mostrare i documenti di soggiorno.  Per quelli a cui non piacciono gli immigranti, questo fatto non era un problema.  Il segretario regionale del Carroccio sostenne la decisione dicendo che:

«un clandestino qui non dovrebbe esserci, quindi nemmeno la sua famiglia.  Se qualcuno è a conoscenza della presenza di clandestini dovrebbe denunciarli, così come i magistrati dovrebbero applicare la legge.  Proprio come ha fatto la Cancellieri, che ha semplicemente applicato la legge».

Nonostante la voce della Lega, il resto del paese fu sconvolto.  In fatti, la Provincia rimproverò la scelta del commissariato del Comune di Bologna di non consentire l’iscrizione al nido per i figli dei clandestini come «un esempio da non seguire» e definì la decisione «inaccettabile e non condivisibile sul piano umano».   Tanta fu la protesta degli italiani che Cancellieri ebbe bisogno di rimandare la decisione mentre aspettava un chiarimento dal ministero dell’Interno.  Finalmente, il Comune di Bologna diede il permesso per l’ammissione negli asili nido della città anche ai bambini degli immigrati privi del permesso di soggiorno. 

Questo episodio mostra come una gran parte dell’opposizione contro gli immigranti viene da una minoranza, piccola forse ma vocale.  Sono spesso i gruppi che si fanno sentire, però, che dirigono la società.  Purtroppo, sembra che in Italia questo gruppo sia adesso la Lega, almeno riguardo alle circostanze degli immigranti.  Malgrado questo fatto, ci sono sempre per fortuna delle persone che combattono l’ignoranza e l’ingiustizia.  Benché i produttori del film e i loro simpatizzanti non possano cambiare le leggi ingiuste, la loro voce dà almeno la speranza alle vittime che qualcuno senta il loro pianto.  Questo mondo diventa più piccolo ogni giorno con la globalizzazione e per forza c’è il bisogno di coesistere.  Può darsi che come vengono trattati gli immigranti abbia un impatto sullo sviluppo armonioso di un paese.

Ci sono delle persone come me che non possono identificarsi con una cultura specifica.  Io sono nato negli Stati Uniti e perciò sono americano.  Ciò vuol dire poco.  La lingua che parlo con la mia famiglia è lo spagnolo, il mio cibo è cubano, sono cresciuto ascoltando le storie di Cuba e la nostalgia che ho è di visitare la patria dei miei nonni.  Io festeggerei il Giorno del Ringraziamento americano con lechon (maiale arrostito), moros y cristianos (un piatto di fagioli e di riso), tostones (banane fritte), e arroz con leche (un dolce) con un buon espresso cubano dopo, se non fosse per il fatto che ogni novembre sono invitato dai genitori di mia cognata che è americana.  Ciò che voglio dire è che la mia identità è divisa, anzi frammentata, fra le mie radici cubane e la cultura americana del paese dove abito.  Perciò non posso dire che ho lealtà a nessun paese.  La Cuba rivoluzionaria tradì la  mia famiglia cinquanta anni fa togliendo via tutto ciò che aveva e l’imperialismo americano causò il bisogno di questa rivoluzione.  A me non importa nulla di nessuno di questi paesi; tutti e due hanno le mani sporche per la sofferenza della mia famiglia.  L’unica ragione per cui siamo qui è che gli americani volevano fare un esempio al mondo della loro generosità in confronto al comunismo, cioè della roba ideologica e politica senza nessuna comprensione vera dell’umanità.  L’impressione che ho su questo paese perciò viene formata da come il governo trattò e tratta la mia famiglia.  Per il momento non gliene importa nulla, quindi io ricambio il favore.  Però non c’è nessun sentimento nazionalista o patriottico che mi fa amare il paese.  Mi immagino che sarà la stessa cosa con gli immigranti in qualunque paese.

Ad esempio, mi ricordo una volta che il mio vecchio capo al lavoro mi raccontava di quando visitò la Francia con sua moglie.  Tutti e due sono iraniani e la signora aveva abitato a Parigi per quattordici anni, dopo aver lasciato il suo paese a causa della rivoluzione in Iran.  Loro si erano incontrati con un vecchio amico della signora che gli fece da cicerone.  A un certo punto durante la visita, si trovarono davanti un gruppo di algerini che facevano una gran confusione buttando i loro rifiuti sulle strade.  L’amico francese criticò il gruppo dicendo che gli immigranti algerini facevano di solito così, che erano maleducati e che non avevano rispetto per il paese.  Il mio capo però sapeva ciò che il gruppo stava facendo.  Anche io potevo capirlo dal racconto.  Loro non avevano nessun rispetto per la Francia, poiché i francesi non li avevano rispettati.  I francesi si approfittarono dell’Algeria durante i tempi coloniali e adesso gli algerini ricambiavano il favore.  Spesso è così con gli immigranti.  L’Occidente, che ha avuto una storia lunga con l’imperialismo, ha causato lo stesso influsso di immigranti che ora l'affoga.

Gli italiani hanno un’esperienza ricca riguardo all’immigrazione.  Sì, ricca è la parola giusta poiché non c’è nessuna ragione di averne vergogna.  Usando questa conoscenza che fu guadagnata col sudore della fronte, l’Italia ha l’opportunità adesso di dare un esempio al mondo di come si dovrebbero accogliere gli immigranti.  La legge Bossi-Fini non è la soluzione dell’immigrazione clandestina.  Ma dove si trova una soluzione?  Ecco il film di Piazza Vittorio.  Si può fare un passo avanti solo quando si riconosce che tutti noi condividiamo la stessa umanità.  Non si dovrebbe dimenticare l’umanità poiché il flusso di immigranti non si fermerà.  L’unico paese che potrebbe chiudere le frontiere agli stranieri sarebbe uno stato militare che controllerebbe con la forza delle armi e che toglierebbe i diritti umani non solo agli stranieri ma anche ai propri cittadini.  Dubito però che nessun popolo voglia arrivare a quel punto. 

Works Cited:  

Corriere di Bologna, “Immigrati e nidi, Provincia contro Comune E Cancellieri fa marcia indietro”.  Corriere di Bologna. http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2010/8-aprile-2010/immigrati-nidi-provincia-contro-comune-cancellieri-fa-marcia-indietro-1602798378984.shtml (accesso 6 dicembre 2010).

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La Repubblica Bologna.it. “In via Mattei peggio che in carcere” Cie, La denuncia del garante Bruno”. La Repubblica Bologna.it.http://bologna.repubblica.it/cronaca/2010/04/06/news/in_via_mattei_peggio_che_in_carcere_cie_la_denuncia_del_garante_bruno-3152424/index.html?ref=search (accesso il 6 dicembre 2010).

Telesanterno, “Rivolta al CIE di Modena: sciopero della fame, fuoco ai materassi”. Telesanterno.http://www.telesanterno.com/rivolta-al-cie-di-modena-sciopero-della-fame-fuoco-ai-materassi-0818.html (accesso 6 dicembre 2010).

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